La nostra lingua italiana è tanto bella quanto complessa: sono innumerevoli le parole che hanno più di un significato, e non solo quelle che ci insegnano a scuola per farci comprendere, fin dall’inizio, che passeremo la vita a sentire lemmi che magari non avevamo mai ascoltato prima.
Volete un esempio?
Se pronunciamo la parola “mitra”, a seconda del contesto in cui lo facciamo, potremo comunicare cose diametralmente opposte tra loro.
Mitra è infatti è una divinità dell’induismo e della religione persiana ed anche un dio ellenistico e romano, che fu adorato nelle religioni misteriche dal I secolo a.C. al V secolo d.C.
Rimanendo sempre in ambito religioso, la mitra è anche un paramento liturgico, il copricapo usato dai vescovi di molte confessioni cristiane durante le celebrazioni liturgiche. Alto e rigido, è formato da due pentagoni irregolari piatti, con i lati superiori ricurvi e terminanti a punta.
Ma, cambiando completamente campo semantico, il mitra è un’arma da fuoco automatica individuale portatile, camerata per cartucce da pistola.
Si tratta di un’arma automatica che consente a chi la imbraccia di sparare una sequenza di proiettili in rapidissima successione, mantenendo una semplice pressione del dito sul grilletto e di interromperne il fuoco sollevando il dito stesso.
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