Nell’era dei social, la disciplina legislativa per tutelare la convivenza ha dovuto affinarsi per rispondere anche ad esigenze che non esistevano fino a dieci anni fa. Parliamo, in particolare, della della diffamazione a mezzo Facebook, perpetrata cioè a mezzo social network. Uno dei più famosi social è Facebook, protagonista, negli ultimi tempi, di alcune diatribe legislative. Sul tema della diffamazione online si sono prodotte sentenze interessanti, come avremo modo di vedere.
In questo articolo vogliamo capire in cosa consiste la diffamazione online, se essa sia sottoposta a qualche aggravante, quando si configura, e quali sono i rischi. Inoltre vedremo anche quali sono le più importanti sentenze che riguardano la diffamazione per mezzo Facebook, un argomento abbastanza recente e tuttora in evoluzione.
Diffamazione a mezzo Facebook: chiariamo alcuni concetti
Per iniziare, chiariamo che cosa sia la diffamazione. Il codice penale, all’articolo 595, ci informa che “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito (…)”. La diffamazione è quindi un reato, ed in particolare il reato di colui che, cominciando con più persone, offende la reputazione di terzi. Perché il reato in questione si possa configurare è necessario che la persona offesa non sia presente, o anche se presente, non sia in grado di percepire l’offesa. Se invece la persona offesa dovesse sentire la denigrazione, si sarebbe di fronte all’illecito (fino a poco tempo fa reato) di ingiuria.
Il reato di diffamazione ha come presupposto la tutela dell’onore di ogni persona: è un reato a forma libera, e questo significa che si può commettere in diversi modi, ma è sufficiente che venga offesa l’altrui reputazione.
La diffamazione a mezzo Facebook è reato?
Anche denigrare la reputazione altrui sui social network integra il reato di diffamazione. La sentenza pilota è quella della Cassazione, la numero 24431 del 2015, che sostiene che inserire un commento offensivo nella bacheca di un social permette all’insulto o alla denigrazione di essere percepito da un numero di persone indeterminato. Quindi, se il messaggio in questione fosse stato offensivo, si realizzerebbe il reato di diffamazione.
Nel caso affrontato dalla sentenza, il Giudice di Pace di Roma aveva giudicato il fatto di chi aveva postato sull’altrui bacheca un commento offensivo. Il giudice aveva dichiarato la sua incompetenza per materia, in quanto aveva ritenuto applicabile anche la fattispecie aggravata del reato di diffamazione (diffamazione a mezzo stampa). Il tribunale monocratico di Roma aveva invece ritenuto che la pubblicazione di un commento offensivo sull’altrui bacheca Facebook non integrasse né pubblicazione, né diffusione del contenuto offensivo, in quanto la persona offesa aveva attivato alcuni meccanismi a protezione della privacy.
La Cassazione, alla quale la questione fu infine rimessa, sostenne innanzitutto che il reato di diffamazione può essere commesso anche a mezzo di Internet; questo è un precedente particolarmente importante, perché sdogana anche la responsabilità penale per ciò che si scrive sui social network, sui forum online e via dicendo. Ma non solo: la Cassazione sostenne che la diffamazione, nel caso in questione, fosse effettivamente aggravata in quanto quando si pubblica un contenuto su Facebook potenzialmente tale contenuto offensivo può raggiungere una pluralità di persone non individuabili, nonché apprezzabili solamente in maniera potenziale. Per questo la diffamazione risulta particolarmente intensa e maggiore è il danno subito dalla persona offesa.
In particolare, non potendo considerare Facebook un mezzo di stampa alla luce del quale aggravare la fattispecie penale, la Cassazione sostenne che la diffamazione nel caso era aggravata dal fatto di essere stata pubblicata su un ‘mezzo di pubblicità’, previsto nell’articolo 595 del Codice Penale.
Ricapitolando, quindi: un messaggio postato sulla bacheca Facebook è potenzialmente in grado di raggiungere un ampio numero di persone, il cui numero non è determinabile a priori.
Questo causa un maggior danno alla persona offesa, e quindi è da ritenersi possibile la realizzazione del reato di diffamazione anche aggravata per mezzo dei social network (nel caso Facebook, ma il discorso vale per ogni social ed ogni attività su internet).
Diffamazione a mezzo Facebook: altra giurisprudenza
Abbiamo detto che la giurisprudenza in materia di diffamazione a mezzo Facebook si sta ancora evolvendo. Una recente sentenza della V Cassazione Penale, la numero 8328 del 1 marzo 2016, torna a far luce sul tema della diffamazione per mezzo Facebook, e torna a ribadire la posizione, tutto sommato severa, della giurisprudenza in merito.
Nel caso in questione, un commissario straordinario della Croce Rossa era stato offeso a più riprese su Facebook con messaggi di altri utenti. La Corte di Cassazione, nel caso in questione, aveva ritenuto sussistente la diffamazione aggravata dal numero alto di persone. Questo perché in generale Facebook è uno strumento di comunicazione nel quale convergono diverse persone, senza le quali questa piattaforma non potrebbe essere definita un social network. Ebbene, proprio in virtù del fatto che più persone possono essere raggiunte dai messaggi, in questo caso diffamatori, il reato viene aggravato.
Facebook è, quindi, mezzo idoneo alla pubblicazione di una offesa o di una considerazione denigratoria e quindi non solo s’applica il reato di diffamazione, ma addirittura la sua forma aggravata dal terzo comma dell’art 595 C.P.
Non si può quindi considerare il web una sorta di zona franca dove le norme del codice penale non possano trovare applicazione. La ricca giurisprudenza ci ricorda che la diffamazione può ben verificarsi anche su internet e sui social in genere.
Diffamazione a mezzo Facebook: Non punibilità del reato
Anche nel caso del reato di diffamazione, sussistono comunque delle cause di non punibilità, che trovano la loro disciplina nell’articolo 596 e ss. del Codice Penale. Dette cause ricorrono in caso di:
- prova di verità del fatto, ai sensi dell’articolo 596 del codice penale; se la diffamazione riguarda l’attribuzione di un fatto determinato ed essa viene provata;
- esercizio del diritto di difesa (art 598 del codice penale);
- provocazione (art 599 del codice penale). Lo stato d’ira, provocato dal fatto ingiusto altrui, provoca l’esclusione della pena purché la diffamazione segua immediatamente il fatto ingiusto.
Essendo inoltre tutelata costituzionalmente la libertà del pensiero, il reato di diffamazione non è reato quando rientra in alcuni limiti che sono:
- la verità dei fatti;
- la rilevanza del fatto narrato (ci dev’essere interesse pubblico alla narrazione dei fatti);
la continenza delle espressioni (non si devono usare espressioni ingiuriose e offensive).